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La Storia dei Luoghi dell'Anconella

 

LA LINEA GOTICA

 

THE WINTER LINE

 

di Giancarlo Rivelli Ill saggio e tratto da:
La montagna e la guerra, l'appennino bolognese fra Savena e Reno 1940-1945 di Brunella Dalla Casa, Alberto Preti
Edizioni Aspasia

Le vicende belliche che hanno interessato direttamente il territorio dei nostri comuni nel periodo a cavallo fra il settembre 1944 e l’aprile 1945 si inseriscono nei ben più ampi fatti militari del teatro di guerra italiano, che le cronache delle forze in campo dall’una e dall’altra parte ci hanno permesso di conoscere. Abbiamo inteso prendere la caduta della Linea Gotica come ideale riferimento di tempo e di spazio perché è a seguito di questo evento ed a partire da questi luoghi che in definitiva le nostre contrade si sono trovate in prima linea, sopportando il passaggio di due eserciti in lotta, con le note conseguenze per la popolazione civile, per le case, per le cose.

 

La caduta della Linea Gotica
Ricordiamo brevemente che la Linea Gotica era costituito da un sistema di difese fisse tracciate lungo i crinali dell’Appennino da Pesaro a Massa Carrara, il cui progetto e la cui realizzazione erano stati effettuati dai tedeschi, con l’utilizzo in forma coatta di decine di migliaia di lavoratori della Todt (l’organizzazione tedesca del lavoro), all’indomani dello sbarco alleato in Sicilia (10 luglio 1943), allo scopo di difendere la pianura Padana, strategicamente importante per le sue industrie, per i suoi fertili campi e per l’accesso al Nord Europa attraverso il Brennero e all’Est attraverso Trieste e la gola di Lubiana.
Questo sistema difensivo, che nulla aveva a che spartire per imponenza di uomini, mezzi ed armamenti con la Linea Maginot francese o con il Vallo Atlantico tedesco sulle coste della Manica, era realizzato sfruttando al meglio le opportunità offerte dal terreno con postazioni prevalentemente costruite con utilizzo di legname, terra e massi alternate a poche difese artificiali, tutte armate in modo essenziale e dotate di pochi uomini: e questo non certo per sottovalutazione della importanza delle necessità dell’apparato difensivo, ma piuttosto per la disperata carenza di mezzi, di personale e di tempo.
Per una più comprensibile descrizione dei fatti e degli schieramenti in campo, prenderemo in considerazione gli eventi accaduti nei territori compresi a grandi linee fra la valle del Santerno a est e la valle del Reno e del Samoggia a ovest e fra la Linea Gotica a sud e la via Emilia a nord, nel periodo compreso fra il 13 settembre 1944 e il 21 aprile 1945.

Verso il Passo della Raticosa
I tedeschi avevano a loro disposizione le difese predisposte su Monte Bastione, sovrastante la Futa, Monte Oggioli, dominante l’intera vallata di Firenzuola e Monte Canda, su cui si trovavano anche alcune batterie antiaeree. Queste tre cime, più alte di tutte quelle circostanti, davano un consistente vantaggio ai difensori, essendo oltretutto scarsamente alberate ed avendo generalmente fianchi ripidi e disagevoli.
Per vincere la difesa tedesca gli Alleati decisero per un simultaneo attacco con concentramento di forze: la 34.a divisione verso Monte Bastione, la 91.a verso Monte Oggioli e la 85.a verso Monte Canda, convergendo in direzione del Passo della Raticosa. Un simile attacco non risultò sopportabile alle sempre più sguarnite truppe tedesche che ebbero come unica alternativa l’abbandono delle posizioni ed il ritiro il giorno 28 verso nuove scarne difese disposte nei paraggi di Monghidoro, ritiro effettuato con il favore del maltempo che per alcuni giorni costrinse a terra l’aviazione americana, prezioso elemento di copertura per ogni operazione terrestre alleata.
Il Passo della Raticosa venne occupato dalla 91.a divisione la mattina del 29: nel corso della giornata due reggimenti si spinsero fino quasi a Ca’ del Costa; la 85.a e la 34.a conquistarono i loro obbiettivi senza incontrare resistenza, immerse in una nebbia irreale che lasciava solo qualche metro di visibilità.

 

 

Strage a Monte Sole
Intanto una formazione partigiana, la Stella Rossa comandata da «Lupo» (Mario Musolesi), forte di circa 500 nomini occupava il crinale fra Setta e Reno, da Grizzana fino a Sasso Marconi, tagliando verticalmente la debole linea di difesa, diretta continuazione di quelle poste più ad occidente e a cui abbiamo appena accennato.
Con ogni probabilità i partigiani non valutarono appieno il pericolo mortale che essi rappresentavano nel cuore dello schieramento tedesco, potendo garantire con la loro presenza una linea preferenziale di passaggio diretto delle forze alleate alle spalle delle difese tedesche, con il loro conseguente possibile scardinamento.
Ben chiaro era viceversa questo pericolo agli occhi dei tedeschi, i quali avevano già potuto toccare con mano durante i combattimenti di Monte Battaglia, sulla destra del Santerno, consegnato il giorno 27 settembre dai partigiani della 36.a brigata Garibaldi agli americani, le conseguenze dell’interruzione delle loro linee difensive: solamente l’eccessiva prudenza del comando americano impedi che forze alleate consistenti approfittassero del varco miracolosamente apertosi per gettarsi verso la pianura e cogliere il nemico dall’alto ed alle spalle.
Quindi fatto tesoro di quelle circostanze, l’intervento delle truppe tedesche per riconquistare il controllo del crinale fra Setta e Reno fu sanguinoso e bestiale, scatenandosi parte della truppa contro gli inermi civili di queste contrade in una strage talmente efferata che nulla ha a che spartire con le cronache pur cruente della guerra.
Questi delitti venivano perpetrati fra il 29 settembre ed il 2 ottobre 1944 da circa 1.500 uomini appartenenti a varie formazioni tedesche.


L’avanzata verso Monghidoro e Loiano
Gli Alleati decisero di lanciare la 85.a divisione a cavallo fra l’Idice e il Sillaro, la 91.a lungo la statale della Futa e la 34.a, in un ruolo di secondo piano, lungo il crinale fra Savena e Setta. Nel frattempo alcuni problemi logistici trovavano la loro soluzione: l’indispensabile approvvigionamento di carburante per i mezzi venne garantito dal 3 ottobre in avanti da una condotta di 10 cm di diametro che da Livorno giunse dapprima a Pontedera, poi a Sesto Fiorentino e, dai primi giorni di novembre, fino al Passo della Futa.


Dopo un’accurata preparazione di artiglieria l’attacco verso le difese attorno a Monghidoro scattò alle ore 6 del 1 ottobre: alle basse nubi che sul far del mattino occupavano l’orizzonte si sostituì un caldo sole che permise dopo quasi una settimana di maltempo un’ottima osservazione all’aviazione e all’artiglieria. Le truppe tedesche della 4.a e 362.a divisione sebbene pesantemente indebolite dalle perdite, tennero il campo fino alla notte del 4 ottobre per ritirarsi sulla linea difensiva posta nei pressi di Loiano.


Il giorno seguente il gen. Clark raggiunse il comando della 91.a posto a Monghidoro, liberato la mattina del 2, e si congratulò per il risultato ottenuto: 858 prigionieri ed alcune migliaia fra morti e feriti tedeschi. Essendo però il nemico sulla difensiva, era da attendersi che le sue perdite diminuissero quando si fosse ritirato su posizioni più forti. Peraltro le perdite americane dal 1 al 4 ottobre ammontavano a 1734 uomini fra morti e feriti, alle quali dovevano aggiungersi coloro i quali non erano più abili al combattimento per malattie e stress emotivi dovuti alla cruda lotta.


Nel frattempo i tedeschi avevano preparato tre nuove linee di difesa in prossimità di Loiano, Livergnano e Pianoro. Questo faceva intendere come fosse loro intenzione difendersi fino all’ultimo uomo e all’ultimo proiettile, per costringere gli Alleati a una pausa invernale prima di lanciare un ulteriore assalto verso la pianura.


Loiano
Il giorno 5 la 85.a divisione attaccò lungo lo spartiacque fra Idice e Sillaro, imbattendosi presto in una forte resistenza nei pressi del Monte delle Formiche, difeso da elementi della 362.a, 65.a e 98.a divisione di fanteria. La 91.a divisione alleata mosse all’alba del 5 ottobre verso Loiano e dopo dodici minuti di bombardamento, per un totale di un migliaio di colpi, gli uomini del 2.° battaglione del 362° reggimento entrarono in paese.


Le case, gravemente bombardate, vennero setacciate una ad una dai soldati americani, i quali si disposero a difesa in attesa di un possibile contrattacco tedesco, effettivamente portato nelle prime ore del pomeriggio e respinto con decisione; nei combattimenti attorno al paese venne colpito un mezzocorazzato.


Un caposaldo tedesco era stato intanto predisposto su Monte Castellari; gli Alleati, nella speranza di cogliere i difensori di sorpresa, attaccarono la mattina del 7 senza preparazione di artiglieria, ma il risultato fu scadente; così si proseguì nei giorni successivi, peraltro di maltempo, con una media giornaliera di 4.500 colpi di artiglieria contro questa sola postazione. Questa tattica ebbe effetto perché il giorno 9 una pattuglia raggiunse il Monte Castellari senza incontrare resistenza: venne così occupato questo rilievo che risultava essere il più alto fra Loiano e Livergnano. Le perdite risultarono da parte americana di circa 1.400 uomini.


Monzuno e San Benedetto Val di Sambro


Nel frattempo gli elementi del 133° e 168° reggimento della 34.a divisione, liberati Pian del Voglio, Montefredente, Madonna dei Fornelli, nel pomeriggio dcl 2 ottobre attaccarono in direzione di Monte Galletto, lo conquistarono la sera dello stesso giorno e la mattina del 4, con l’aiuto di 7 carri armati, occuparono la cima di Monte Venere. Rinforzata la posizione, con il favore delle tenebre gli attaccanti proseguirono nel loro cammino, liberando Monzuno nelle prime ore del 5 ottobre. I tedeschi si ritirarono difendendo il terreno accanitamente, tanto che gli Alleati dovettero trincerarsi per la notte in prossimità del paese.


Il successivo obiettivo del 133° reggimento divenne il gruppo di alture conosciuto come Monterumici. Il 2° battaglione del 135° fanteria avanzò in supporto del 133° nelle prime ore del mattino del 8 ottobre. Durante tutto l’8 ed il 9 ottobre Monterumici fu attaccato da

 

 ovest dal 135° fanteria e da un movimento di fiancheggiamento da parte del 133°. Lentamente i tedeschi si ritirarono, raggiungendo la mattina del 9 linee di difesa più forti che correvano da est a ovest fra le vallate del Savena e del Setta: tali difese avrebbero resistito agli attacchi americani fino alla sospensione invernale dei combattimenti, per essere conquistate, alla ripresa delle ostilita nell’aprile 1945.


Intanto il 1° e 3° battaglione del 168° reggimento di fanteria della 34.a divisione si erano mosse verso San Benedetto Val di Sambro che occuparono il 4 ottobre.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 

IL TEATRO DI GUERRA SULL’APPENNINO:
LE OPERAZIONI MILITARI DALLO

 SFONDAMENTODELLA LINEA GOTICA ALLA LIBERAZIONE

 

 


Livergnano
Ora il fronte vedeva i tedeschi occupare dei contrafforti estremamente interessanti per la difesa, sia a causa dei fianchi estesamente dirupati, sia per la loro naturale disposizione su di una linea che trasversalmente tagliava le valli del Reno, del Setta, del Savena, dello Zena e dell’Idice: lo schieramento tedesco vedeva in Monte Sole, Monterumici, Livergnano e Monte delle Formiche quattro formidabili ostacoli alla marcia degli Alleati.

 


Tuttavia alle ore 8 del 10 ottobre il 338° reggimento di fanteria della 85.a divisione si mosse verso Casa del Monte e successivamente in direzione di Monte delle Formiche, che venne conquistato nel primo pomeriggio dello stesso giorno con la cattura di 53 soldati tedeschi in prossimità della chiesa posta in vetta; l’avanzata alleata però si bloccò ben presto contro una rigida resistenza.

 


Intanto la 91.a divisione incontrava gravi difficoltà nel procedere in direzione di Livergnano, il cui nome veniva dagli americani comicamente storpiato in liver and onions (fegato e cipolle).

 

Gli Alleati subirono gravissime perdite, fra cui la cattura di un intero plotone: neppure l’intervento di alcuni caccia bombardieri sbloccò la situazione. La ragione di tutto ciò si fa risalire al dispiegamento della 65.a divisione di fanteria tedesca nel mezzo dello schieramento fra la 4.a divisione paracadutisti e la 362.a. Finalmente una schiarita permise la mattina del 12 un esteso bombardamento aereo e terrestre: soltanto l’artiglieria della 91.a sparò 24.000 colpi nei giorni dal 12 al 14ottobre.

 


Nella notte fra il 13 ed il 14 i tedeschi abbandonarono furtivamente Livergnano: contemporaneamente parte della 34.a divisione, che con un terzo delle sue forze assediava Monterumici, scivolò verso il Savena, occupando la sera del 15 ottobre nella vallata, fino alle pendici di Livergnano, le località di Anconella e Scascoli e lasciando spazio agli uomini della 1.a divisione corazzata del Cca (Combat Command A).

 


Nel periodo dal 10 al 15 ottobre gli Alleati subirono 2.491 perdite, il che mise in allarme il loro comando in quanto per la prima volta dall’inizio della campagna d’Italia si trovarono in difficoltà, essendo a corto di truppe di riserva: tutto questo suggerì un rallentamento prima e uno stop poi alle operazioni militari di grande respiro.


Posizioni strategiche
Nella zona centrale del nostro teatro di guerra tre grandi capisaldi erano ancora tenuti dalle forze germaniche: il gen. Clark decise di attaccare prima Monte Belmonte sovrastante Pianoro con la 34.a, poi Monte Grande, la cui caduta avrebbe aperto la porta verso Castel San Pietro e la pianura Padana, ed infine Monte Adone. La 91.a divisione americana scambiò le sue posizioni con quelle della vicina 34.a: quest’ultima era ancora numericamente forte, ma era formata da veterani che già combattevano da più di due anni e che con veemenza chiedevano di essere rimpatriati: i rapporti alleati ci dicono che il loro morale non era molto alto.
L’attacco venne portato alle ore 5 del 16 ottobre supportato dalle artiglierie e dai carri armati: il primo di questi venne messo fuori combattimento e bloccò il passaggio agli altri: cosi questa nuova offensiva si arenò praticamente sul nascere. Il giorno seguente l’aviazione bombardò pesantemente Monte Belmonte, facendo anche uso di un nuovo tipo di bombe incendiarie al napalm.
La sera, alla luce dei bengala gli Alleati tentarono un nuovo attacco, ma furono fermati da un forte fuoco di sbarramento, subendo numerose perdite ed un successivo contrattacco tedesco. Un nuovo attacco all’alba del 18 da parte della 34.a divisione si scontrò con una forte opposizione dei difensori, il cui schieramento era stato rinforzato dall’arrivo della 29.a Panzer Division: ciò costrinse gli Alleati a fermarsi dopo aver conquistato il villaggio di Zena e la cima di Monte della Vigna.
Alla sinistra della 34.a, la 91.a aveva incontrato anch’essa una forte resistenza nemica, sia lungo l’asse della statale della Futa (resistenza aggravata dalla particolare violenza degli attacchi ai convogli dei rifornimenti nella strettoia di Livergnano da parte dell’artiglieria tedesca), sia proveniente dalle difese disposte in profondità, da Monterumici a Monte Adone, a Badolo, fino a Monte Mario sovrastante Sasso Marconi. Questa forte resistenza, oltre alle perdite e al tempo inclemente consigliarono gli Alleati di effettuare un prudenziale stop alle operazioni militari, mantenendo le loro forze in uno stato di difesa aggressiva.
Alla destra della 34.a divisione i soldati della 85.a compirono significativi progressi conquistando il giorno 19 ottobre Monte Fano, cinque chilometri oltre Monte delle Formiche: furono in ciò probabilmente favoriti dall’aver agito in una zona di confine fra gli schieramenti della X e XIV armata tedesca, solitamente più debole per carenza di collegamenti fra i reparti schierati fianco a fianco.



Irraggiungibile meta
Decisi ad un ulteriore sforzo per tentare di aprirsi la via verso Bologna, gli Alleati pianificarono un nuovo attacco contro Monte Grande, supportato da un imponente volume di fuoco: 8.400 colpi sparati in una sola ora contro 42 obiettivi identificati. Per incitare le truppe lo stesso gen. Clark venne al posto di comando dell’88.a divisione, promettendo al generale Kendall la sua seconda stella se i suoi uomini avessero conquistato il successo.

 

Ed effettivamente Monte Grande cadde nonostante contrattacchi tedeschi e gli americani occuparono la vicina località di Farneto a metà del 20 ottobre.

 

 


Poi il 22 diressero il loro attacco verso il vicino Monte Castellazzo e la prospiciente Collina di Ribiano, sovrastanti Castel San Pietro: la loro caduta avrebbero finalmente aperto le porte della pianura, intrappolando le forze germaniche disposte in Romagna in un abbraccio mortale.

 

Ma l’attacco si schiantò contro le difese tedesche rinforzate dall’entrata in linea delle forze della 90.a Panzer Division, con la cattura di molti uomini nello sfortunato tentativo di occupare il villaggio di Vedriano. Feroci contrattacchi tedeschi e piogge disastrose che in poche ore spazzarono via tre ponti nella valle del Santerno suggerirono, data la scarsità di mezzi e munizioni, di trincerarsi a difesa: Monte Castellazzo rimase lì, vicino ma per ora non raggiungibile.

 


Dall’inizio dell’offensiva fino al 26 ottobre le perdite alleate assommavano a 15.716 uomini, di cui ben 5.026 appartenenti alla 88.a divisione.

 


Gli Alleati non furono in grado di finalizzare il loro sforzo prima dell’arrivo dell’inverno, cosa che viceversa avrebbe probabilmente concluso la campagna d’Italia con sei mesi di anticipo: essi erano disposti come la punta di una grande freccia rivolta verso la pianura, con al vertice la 88.a e la 85.a divisione trincerate in prossimità di Monte Castellazzo, lungo il loro fianco sinistro la 34.a sopra Pianoro, più indietro la 91.a di fronte a Monterumici. Il fronte poi proseguiva lungo il letto del Setta fino verso Rioveggio e da qui, con la presenza delle truppe sudafricane, saliva in cresta fra Setta e Reno verso Porretta, da cui il fronte proseguiva verso le alte vette dell’Appennino.


Una tregua armata
La tregua invernale, a parte blande operazioni di ricognizione, venne occupata dai due eserciti nel miglioramento dei rispettivi sistemi difensivi, con la costruzione, anche da parte alleata, di una serie di postazioni e camminamenti che richiamavano un po’ la guerra di posizione combattuta 30 anni prima dalle truppe impegnate nella I guerra mondiale.

 


La sostanziale stabilità del fronte fu mantenuta per i mesi centrali dell’inverno fino alla metà di febbraio 1945 quando le truppe del corpo di spedizione brasiliano spostate dalla Versilia a nord di Porretta, unitamente alla 10° divisione di montagna americana «Mountain», arrivata direttamente dagli Usa e subito schierata in linea, attaccarono nella zona di Monte Belvedere e Monte Torraccia sulla sinistra del torrente Silla, a nord di Porretta.

 

 

 


Questa operazione nota con il nome di «Encore», condotta contro le truppe del LI corpo di montagna tedesco, aveva lo scopo di assicurare il controllo delle zone circostanti la strada statale che percorre la valle del Reno in direzione di Vergato, Sasso Marconi e quindi Casalecchio e Bologna. Il controllo di questi monti avrebbe consentito l’osservazione della lontana valle del Po.

 

 


L’operazione comunque si presentò particolarmente difficile a causa della neve e della aspra natura dei rilievi: Monte Belvedere dovette essere scalato la notte del 18 febbraio con una ardua manovra e non poterono essere di alcun aiuto nè l’uso degli sci, né delle «donnole», speciali veicoli cingolati leggeri, nè l’uso delle jeep. Il pomeriggio del 23 veniva conquistata la cima di Monte Torraccia e il vicino Monte Castello.

 


Il passo successivo fu l’avanzata verso Vergato, le cui montagne circostanti, Monte Grande d’Aiano, Monte della Spe, Monte della Castellana e Monte Valbura, sarebbero state utilizzate come trampolini di lancio per l’attacco della primavera. L’attacco lanciato il 3 marzo raggiunse i suoi obiettivi il 5, nonostante una forte resistenza offerta anche dai granatieri della 29.a Panzer Division, ultime riserve tedesche. Temendo che l’offensiva alleata allarmasse i tedeschi al punto da scatenare una difesa pari a quella incontrata a Livergnano e Monte Adone, il comando fermò l’attacco alle prime ore del 5, dopo aver subito 549 perdite di cui 106 morti. Nelle loro mani avevano ora una linea da Monte Belvedere fino alla statale della valle del Reno, alcuni chilometri a monte di Vergato.


Una seconda breve pausa interruppe i movimenti di truppe, consentendo agli Alleati di assestarsi sulle nuove posizioni e di raccogliere le forze per l’ultimo balzo verso la pianura: ovviamente lo stesso intervallo di tempo venne occupato dai tedeschi per rinforzare le loro sempre più sguarnite difese.

Questa pagina è dedicata a Massimo Calzolari.